THE DREAM SYNDICATE Medicine Show - US 1984

 

THE DREAM SYNDICATE

Medicine Show - US 1984

Ero un ragazzino nel 1987 quando ascoltai per la prima volta Medicine Show, secondo album dei californiani Dream Syndicate pubblicato nel 1984, e rimasi folgorato. Ricordo ancora che mi aveva passato l’LP un compagno di scuola ed io l’avevo prontamente registrato sul lato A di una cassetta da 90 (minuti). Sul lato B c’era The Orphans Parade il primo album in studio dei City Kids, una band garage rock francese. Ma questa è un’altra storia.

Il Paisley Underground - neopsichedelia della west coast che incontra la ruvidezza del punk sotto il cielo di Los Angeles - l'avevo già assaggiato. L’incontro era avvenuto con i più “tradizionalisti” Green On Red ed il loro ottimo Gas, Food, Lodging, del 1985. Ed era stato un incontro che aveva lasciato il segno, ma anche questa è un’altra storia.

Medicine Show invece mi travolse. Le canzoni epiche, la chitarra tagliente e nervosa che esondava da ogni solco di vinile nero, le acide country ballads, l’attitudine new wave, i fraseggi nevrotici, gli echi di Young e Dylan, mi facevano (e mi fanno) accapponare la pelle e drizzare i peli.

Forse ascoltarlo oggi per la prima volta non fa lo stesso effetto. Non posso saperlo, ma nella seconda metà degli anni ottanta quest'album ed il suono prodotto da Dennis Duck (batteria), Dave Provost (già bassista dei Droogs), Tommy Zvoncheck (turnista che aggiunse le tracce di pianoforte a registrazioni già concluse) e Karl Precoda (chitarra solista), fu - per il me appena diciottenne - uno tsunami emozionale.

Ma Medicine show è inevitabilmente dominato da Steve Wynn, che assurge qui ad una statura di compositore ed interprete tale da rivaleggiare con i più grandi storyteller della musica americana, capace di coniugare pathos ed oscura dolcezza, Velvet Underground e Neil Young e, come aveva già fatto in maniera più acida il precedente e monumentale The Days of Wine and Roses, rileggere le radici della tradizione americana attraverso la lente della new wave e del punk.

Per comprendere l'anima di canzoni come “Still Holding on to You”, “Burn”, “Bullet with My Name on It”, “Merrittville”, “John Coltrane Stereo Blues” e la stupenda “Medicine Show” - perfetta sintesi di quarant’anni di Rock’n Roll - bisogna immaginate i silenzi di Coney island Baby, le chitarre di Zuma, i primi Talking Heads e la rabbia romantica di Born To Run.

A tanta grazia artistica corrispose, manco a dirlo, un immeritato fiasco commerciale, ma ciò non toglie un solo grammo al valore di questo album tagliente e vellutato. Capolavoro dei Dream Syndicate in grado di definire un genere ed indicare la direzione per chi verrà dopo.

Welcome to the medicine show.

 

 














 





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