THE KIM SQUAD AND DINAH SHORE ZEEKAPERS Young Bastards - Italia 1987
THE KIM SQUAD AND DINAH SHORE ZEEKAPERS
Young Bastards - Italia 1987
I Kim Squad & Dinah Shore Zeekapers (Headbangers) germogliano
nella Roma della metà degli anni 80 e dopo qualche iniziale cambio di
formazione si assestano sulla line up costituita dal francese François-Regis Cambuzat (chitarra e voce), Roberta
Possamai (tastiere), Elena Palmieri (basso), Angelo Pinna (batteria), Giorgio “il
greco” Curcetti (chitarra).
la Squadra di Kim inizia rapidamente
a farsi conoscere nel circuito underground infiammando la capitale e non solo
quella con le loro esibizioni incandescenti. Ricordo la prima volta che li vidi
suonare dal vivo in un luogo ai confini dell’impero. Fu un concerto
incredibilmente coinvolgente, con non più di un centinaio di persone, terminato
con una improbabile versione di “Psycho Killer” dei Talking Heads, durante la quale François invitò il pubblico a
salire sul palco per ballare e cantare con la band. Per me fu amore a prima
vista, per Kim e per Roberta. L’unica volta che ho visto accadere qualcosa di
simile fu molti anni dopo, ad opera di un Iggy
Pop maturo ma non meno scatenato, ad un concerto dei riuniti Stooges.
I Kim, forti del seguito
guadagnato sul campo e dell’interesse che si stava sviluppando intorno a loro, decidono
di partecipare ad Indipendenti, il
concorso della rivista Fare Musica
che premiava la miglior band emergente italiana dell’anno. E così, nel maggio
del 1987 François e compagni si ritrovano in finale, sul palco dell’Auditorium
della Rai di Torino dove mettono in scena il loro Rock’n’Roll esplosivo,
viscerale, stradaiolo, travolgendo tutti, rivali, pubblico e critica, vincendo
la competizione ed il premio che consiste in un contratto discografico per la
pubblicazione di un album nientemeno che con l’etichetta discografica Virgin.
I Kim Squad & Dinah Shore cambiano
il suffisso da Headbangers in Zeekapers (che in olandese dovrebbe significare
filibustieri) e nel luglio 1987 entrano nello Studio Pollicino di Roma affiancati
dal produttore Oderso Rubini. In soli due giorni, terminano le registrazioni di
Young
Bastards che vengono effettuate in presa diretta, rendendolo di fatto
un live in studio. Un album straordinario in cui c’è il garage rock ma anche
molto altro, c’è la canzone d’autore francese, i Doors e la psichedelia, c’è il
carisma di François che è un animale da palcoscenico come se ne sono visti
pochi dalle nostre parti, il fascino oscuro di Elena e di Roberta, il sound del
suo organo che lei scherzando chiamava "Himmond",
la chitarra lancinante di Giorgio e la batteria metronomica di Angelo. Otto
brani indimenticabili equamente divisi tra le due facciate con le travolgenti “Broken
Promises” e “Renaissance” rispettivamente in apertura e chiusura.
“Broken Promises” è una memorabile
cavalcata fremente di elettricità chitarristica sostenuta da un tappeto
d’organo e dalla precisa sezione ritmica. Reperite sul tubo la versione suonata
dal vivo a DOC, trasmissione televisiva di Arbore, per avere un’idea della
carica esplosiva dei Kim. “Serge Est Un Salaud”, splendida ballata cantata in
francese, paga il conto al Serge Gainsbourg in coppia con Jane Birkin di “Je T'Aime...
Moi Non Plus” ed ai Pink Floyd più barrettiani. Gli oltre sette minuti di
boogie strascicato e sincopato di “Harbour Dues” fa il paio con “7 Tex-Mex
& the Gilbert Gin” ed il suo organetto doorsiano in bell’evidenza.
“Mocaibo” è uno spumeggiante pop-punk che resta stampato in testa al primo
ascolto. Chiude i giochi l’incandescente ed interminabile “Reinessance”, orgia
chitarristica in cui risaltano le doti soliste di Giorgio Curcetti.
La seconda volta che vidi suonare
i Kim fu all’Auditorium della Rai di Napoli, in occasione della seconda
edizione di Indipendenti (vinta dai
Pescaresi Vegetable Men, seppur di
poco, sugli ottimi Jack Daniel’s Lovers),
alla quale i Kim Squad parteciparono come ospiti, in qualità di vincitori
dell’edizione precedente. Anche questa volta la loro esibizione dirompente
rimase impressa a fuoco nella memoria dei presenti. Terminarono il loro set con
gli undici incendiari minuti di “Renaissance”, dopo di che abbandonarono il
palco e la strumentazione accesa, ad esalare feedback, a diffondere rumore
bianco nella sala dell’auditorium, finché sul palco si avvicendarono gli
americani Thin White Rope, ospiti stranieri della manifestazione, quella sera anche
loro in stato di grazia.
Incontrai altre volte Francois e
Roberta, anche dopo lo scioglimento della band, ma il brivido provato a quei
primi concerti non si è più ripetuto, per lo meno non con quell’intensità. E tutto
ciò che posso dire è che ho avuto la fortuna di assistere al luminoso e fugace
passaggio della cometa Kim Squad, di cui resta prova tangibile almeno questo
Young Bastards, intenso e passionale capolavoro di italico Rock’n’Roll.
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