THE JESUS AND MARY CHAIN Psychocandy - UK 1985


 
















THE JESUS AND MARY CHAIN
Psychocandy - UK 1985

Perversione adolescenziale. Questa potrebbe essere la giusta definizione di quell’incredibile esperienza sonora che è Psychocandy. Incredibile, almeno nella seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso.

I giovani fratelli scozzesi Jim e William Reid con l’ausilio di un giovanissimo Bobby Gillespie alla batteria (qualcuno ha detto Primal Scream?) e di Douglas Hart al basso, attingono a piene mani dalle esperienze musicali del passato, Stooges, Ramones, Joy Division a cui aggiungono un cocktail di allucinogeni e nichilismo mescolati in parti uguali alla melodia dei Beach Boys e al minimalismo dei Velvet Underground. Tutto ben shakerato e servito con un muro di riverbero e distorsione.

Il battito ipnotico e rimbombante del basso e della batteria e la voce decadente ed un po’ in sordina di Jim Reid, sono circondati da un uragano di feedback, spogliato del quale, però, Psychocandy è un album pop, fatto di canzoncine sorprendentemente melodiche.

Il resto è leggenda che narra di esibizioni live di appena una ventina di minuti - suonati sotto l’effetto di alcol e droghe, spalle al pubblico, eliminando qualunque tipo di relazione con esso - durante le quali erano frequenti risse e tumulti, tanto che il quotidiano The Sun affibbiò al gruppo la definizione di “nuovi Sex Pistols”.

Psychocandy apre con "Just Like Honey", vero e proprio manifesto sonoro della band, che parte come un brano pop che rimbomba in un canyon. Seguono 13 canzoni - tra cui, in ordine sparso, “The Living End”, “Taste the Floor”, “Cut Dead”, “Taste of Cindy” e “You Trip Me Up” - in cui il piglio pop si fonde con il fragore delle chitarre, ma capaci anche di avvolgere l’ascoltatore in un’atmosfera sognante, oscura e malinconica, quasi come se il suono distorto ne esaltasse la melodiosità. Mentre i testi dei fratelli Reid sono combinazioni intercambiabili di sesso, droghe, velocità e noia, espressi - per lo più - in modo anemozionale, impassibile e distaccato.

Psychocandy è una pietra angolare della musica indipendente degli anni '80 e delle decadi seguenti. Un album che ha segnato un'epoca, moderno, provocatorio e profondamente antisociale. L’album che ha influenzato quasi tutto quello che è venuto dopo, a cominciare da Spiritualized, My Bloody Valentine e Pixies.

Psychocandy è esattamente ciò che dichiara il titolo, una dolce caramella psicotropa.

Agosto 1986. Reduce dall’esame di maturità, partii con tre amici alla volta della perfida Albione per il mio primo viaggio “adulto”. Zaino, Inter-Rail, tessera della Youth Hostels Association, un po’ di soldi in tasca. Londra, concerti, Marquee Club, One Hundred Club, birre, Scotch, pub, British Museum, pub, Big Ben, pub, Buckingham Palace, cambio della guardia, pub, ecc.. Poi la provincia inglese, Bath, Stonehenge, Oxford. Una sera, nella hall dell’ostello di Stratford-upon-Avon, luogo di nascita di tale William Shakespeare, dei ragazzi scozzesi con uno Sharp enorme (o li ricordate oppure non li avete mai visti) iniziarono a diffondere un suono che aveva qualcosa di metallurgico, sembrava che qualcuno stesse cantando in sordina sul ronzio prodotto da qualche grosso macchinario industriale. Quella fu la prima volta che ascoltai i Jesus And Mary Chain. Si trattava di “Taste The Floor”, terza traccia di Psychocandy. E quel maledetto ronzio continua a perseguitarmi ancora oggi.

Per fortuna.

 


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