THE WATERBOYS This Is The Sea - UK 1985
THE WATERBOYS
This Is The Sea - UK 1985
Il mare è il luogo dove tutto è
cominciato su questo pianeta azzurro e verde e dove, in un modo o nell’altro,
tutto ritorna. Appare coerente, dunque, che Mike Scott dopo essere giunto nel “Luogo
Pagano” dove viene generata la “Grande Musica”, si immerga nella corrente del
fiume per lasciarsi trasportare fino al mare.
Ma alla fine di questo viaggio il
tastierista e deus ex machina Karl Wallinger imboccherà altre strade,
andando a formare i World Party e lasciando Mike Scott ad intraprendere nuove direzioni.
La pubblicazione di 1985 - il cofanetto di 6 CD uscito su etichetta
Chrysalis il 23 febbraio e contenente demo, brani inediti e registrazioni dal
vivo del periodo di This is The Sea -
e la morte di Karl Wallinger, avvenuta all’età di 66 anni lo scorso 10 marzo, hanno
riportato all’attualità delle cronache il
terzo album dei Waterboys (pubblicato
il 16 settembre 1985) che conclude la cosiddetta trilogia della “Big Music”.
This Is The
Sea è un notevole successo, ancora più
ambizioso del folgorante A Pagan Place,
di cui espande il suono epico, contendendo - secondo molti - al successivo Fisherman's Blues
la palma del capolavoro. Tuttavia, è un album che ancor più del precedente
indulge in arrangiamenti talvolta pomposi e che oggi appaiono datati, come nel
caso della tromba morriconiana che introduce “Don't Bang The Drum” o dei fiati barocchi
e dei suoni un po’ plastificati di “The Whole Of The Moon”.
Eppure This Is The Sea declina un folk rock trionfale, estatico e solenne in
cui confluiscono Van Morrison, Bruce
Springsteen e gli U2, attraverso
canzoni introspettive, ricche di passione e di spiritualità, talmente
entusiasmanti da rendere accettabili e trascurabili i difetti.
L’apertura è affidata alla già citata “Don’t Bang The Drum”, scandita da una batteria che risuona (troppo) potente, da una
chitarra lacerante lasciata però in sottofondo e dal sassofono che garrisce
drammatico, finché il finale in crescendo travolge tutto. Segue “The Whole Of The Moon”, di cui si è
già detto, e la pianistica e trascendente “Spirit” (L’uomo
si arrende, lo Spirito no), intermezzo da
un minuto e quarantanove secondi che conduce a “The Pan Within”, trascinante ballata folk-rock che ridefinisce il concetto stesso di epicità, in cui fa la
sua prima apparizione il violinista Steve
Wickham, destinato a diventare uno dei capisaldi del suono dei
Waterboys. La voce ispirata di Scott, il pianoforte martellante, un riff glorioso
di chitarra elettrica ed il violino di Wickham che avvolge la melodia in un
turbine di note, ci accompagnano “in un viaggio sotto la pelle alla ricerca del Calice
profondo” e ci consegnano una delle performances più entusiasmanti dei
Ragazzi Acquatici e di tutto il rock Inglese degli eighties.
Il lato B ci assale con il wall of sound di “Medicine
Bow”, edificato dalla chitarra distorta, dal sax di Anthony Thistlethwaite, da una batteria serratissima, dall’onnipresente
violino di Wickham e ci scaglia attraverso una tempesta, in mezzo al mare e poi
in cima a una collina per raggiungere un fantomatico luogo dello spirito
chiamato Medicine Bow (Scott scoprirà
successivamente che una località con quel nome esiste realmente in Wyoming).
“Old England” è il brano più politico
dell’album, che colpisce al cuore
l’Inghilterra agonizzante della Thatcher, mentre Mike picchia ossessivo sui
tasti del pianoforte ed Anthony fa urlare di dolore il sassofono. “Be My Enemy” - battagliera ed infuocata - è lo spasmo adrenalinico di un Dylan del ’65, filtrato attraverso la
rivoluzione punk. “Trumpets”, scarna
canzone d’amore che unisce corpo ed anima (“Your
life is like an ocean, I want to dive in naked, lose myself in your depths”),
ammalia con il solo piano incalzante ed il sax del solito Thistlethwaite, senza
sezione ritmica, senza chitarre, senza cori.
Chiude l’album la title track, blues delle Highlands da due accordi, con sette
chitarre acustiche sovraincise, una chitarra elettrica sussurrata, pianoforte,
violino, ottoni, sintetizzatori, tamburello e Mike emozionato ed emozionante
che si sgola fino a spezzare la voce celebrando questo rito pagano di passaggio
all’età adulta, questo inno di consapevolezza ("Quello era il
fiume, questo è il mare").
This Is The Sea è un album solenne ed evocativo, in cui i Waterboys suonano e Mike Scott canta come se fossero in perenne estasi. Lo ascoltai per la prima volta, poco più che adolescente e ne fui conquistato, senza soffermarmi sui difetti, come si fa con i grandi amori.
Il mondo senza questo disco e senza la "Grande Musica" dei Waterboys sarebbe un luogo peggiore.
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