PETER CASE The Man With The Blue Postmodern Fragmented Neo-Traditionalist Guitar - US 1989


 














PETER CASE
The Man With The Blue Postmodern Fragmented Neo-Traditionalist Guitar - US 1989

Sole a picco, caldo, luce bianca accecante. Il nastro di asfalto grigio che si snoda davanti e sotto le gomme dell’auto. Finestrini aperti da cui entra aria ardente di fornace che ti scompiglia i capelli. Alla mia destra, il bel profilo di una ragazza bruna che sta fumando una sigaretta. Muretti a secco di pietra bianca che sezionano la campagna circostante a perdita d’occhio e per lunghi tratti delimitano la carreggiata.

Queste sono le immagini che la memoria mi suggerisce ogni volta che ascolto The Man with the Blue Post Modern Fragmented Neo-Traditionalist Guitar.

L’uomo con la chitarra Blue, postmoderna, frammentata, neotradizionalista, è Peter Case e quest’album, che potrebbe gareggiare e vincere in una sfida di resistenza con uno qualsiasi dei titoli dei film della Wertmuller, è una tesoro dimenticato. A sack full of silver, direbbero i Thin White Rope.

Il cantautore di Buffalo, classe 1954, è stato una delle figure fondamentali della scena New Wave di San Francisco, come fondatore prima dei Nerves e poi soprattutto dei Plimsouls, che nei primi anni 80 realizzeranno un EP e due album di ottimo livello suonando un Pop-Rock brillante e nervoso e che, tuttavia, si scioglieranno nel 1984 per le tensioni sorte tra i membri, frustrati dal mancato riscontro del pubblico (come spesso accade ad artisti di valore che però restano lontani dai gusti delle masse).

Due anni dopo, Peter pubblica il suo primo omonimo album solista, prodotto da Mitchell Froom e da T Bone Burnette, in cui fonde Folk, Rock e Blues con accenni (pochi) più tipicamente New Wave, dando vita a quello che lui stesso definisce “Folk postatomico” ed ottenendo un incoraggiante successo di critica e pubblico. Tuttavia saranno necessari tre anni perché, nel 1989, veda la luce The Man with the Blue… Guitar, l’album della maturità artistica, in cui Peter riceve man forte da un pugno di musicisti del rango di David Hidalgo (Los Lobos) alla chitarra, violino, accordion ed ukulele, Jim Keltner alla batteria, Mitchell Froom  all’organo ed al piano, Benmont Tench (Tom Petty And The Heartbreakers) all’organo in “Two Angels” e Ry Cooder che appare in “Entella Hotel”

The Man with the Blue… Guitar è un album Rock ed elettrico, ma anche Folk-Blues ed acustico, su cui aleggiano le presenze ispiratrici di Bruce Springsteen, Townes Van Zandt e naturalmente di Bob Dylan, cantori - come Peter Case - ognuno a proprio modo, dell’America degli ultimi, del lavoro in fabbrica, delle corse notturne in auto sulla Thunder Road o sulla Highway 61, della fuga da un passato di povertà e di sofferenza. L’America che vede sbiadire il sogno americano. L’America immensa, appena oltre le luci delle grandi città.

The Man with the Blue… Guitar è un viaggio in quell’America e nella musica americana lungo dieci canzoni. L’incipit è affidato a “Charlie James”, un traditional di cui Peter Case offre una versione da brividi, scarna e vibrante di emozione, suonata al crocevia di una polverosa strada di frontiera con chitarra acustica e voce profonda a cui lentamente si uniscono un basso acustico, la chitarra elettrica di Hidalgo ed il lamento blues dell’armonica . “ If you see Charlie James walkin' down the road, please don't tell him which way you see me go”.

La successiva “Put Down the Gun” è un’altra gemma preziosa di questo forziere, una robusta Rock ballad che potrebbe essere una outtake di Darkness on the Edge of Town di Springsteen. “Entella Hotel” è una ballata languida resa indimenticabile dal delicato intreccio delle chitarre di Ry Cooder e David Hidalgo. Il Rock Dylaniano di “Old Part of Town” accelera il ritmo del viaggio lungo le strade della provincia americana mentre guardiamo il panorama che sfila fuori del finestrino come in un road movie in bianco e nero. Accompagnati dalla delicata “Two Angels” imbocchiamo la Interstate in direzione del confine col Messico mentre il tramonto infiamma l’orizzonte.

“This Town’s a Riot” con le sue chitarre aguzze e l’organo sixties è un omaggio che Peter rende ai vecchi tempi dei Plimsouls ed alle sue origini Garage Rock/Pop. Tutti i brani sarebbero degni di menzione ma ormai si è fatta notte. Il viaggio è finito e l’auto si ferma con il motore al minimo, apriamo la portiera e scendiamo, ringraziando Peter con un cenno del capo.

Sole a picco, caldo, luce bianca accecante. Per me questo disco rimane indissolubilmente legato ad una corsa in auto nella desolata campagna estiva, con l’asfalto bollente che si srotola davanti a me ed il bel profilo della ragazza bruna al mio fianco. Perché il Rock’n’Roll, oltre al potere di salvare - talvolta - la vita, ha anche quello di suscitare memorie con appena una manciata di note e di renderle indelebili.

Sole a picco, caldo, luce bianca accecante.




(già pubblicato su Debaser.it)

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