BEASTS OF BOURBON Sour Mash - Australia 1988















BEASTS OF BOURBON
Sour Mash - Australia 1988

L'opera più selvaggia, oscura ed etilica dei Beasts of Bourbon. Un album di grezzo Rock Blues contaminato da afflizioni Post Punk, sudicio e più sgangherato che mai ma nel modo in cui lo è il migliore rock and roll.  Tex Perkins mostra di essere un cantante brutalmente eccezionale mentre Kim Salmon tira fuori riff brucianti, stridenti e contorti, intrisi di blues. James Baker dimostra di essere ancora vivo dietro la batteria nonostante le prove fotografiche sulla copertina dimostrino il contrario. Boris Sujdovic e Spencer P. Jones, dopo l’ultima sbronza, imbracciano basso e chitarra elettrica e fanno il loro sporco lavoro.

Il suono diviene più personale rispetto allo psychobilly dell’esordio che viene abbandonato in favore di un blues torcibudella e avanguardista. Sour Mash suona come i Birthday Party che si incontrano in un bar con Tom Waits per una nottata di bevute e decidono di devastarlo interpretando il loro rock’n’roll deformato e contorto.

Basta ascoltare il brano d’apertura, “Hard Working Drivin' Man” - che sembra la versione da reparto psichiatrico di “Bad To The Bones” di George Thorogood - e “Hard For You”, per ritrovarsi immersi nell’atmosfera di putridume che i BofB mantengono dal primo all’ultimo solco. “Watch Your Step” e “This Ol’ Shit” è delta-blues santificato da un’armonica nera come la pece. Il Country fa la propria incursione con l’agghiacciante "The Hate Inside”, la strappalacrime “Today I Started Loving You Again" di Merle Haggard e la conclusiva, strumentale ”Sun Gods”. Nel mezzo troviamo il Blues marcio e stralunato alla Waits di “These Are The Good Old Days”, quello disturbato e disarmonico di “Pig” e del traditional ”Driver Man”, canto da campo di lavoro dei primi del novecento in cui le Bestie compiono dissonanti scorrerie in territorio jazz.

I Beasts of Bourbon riescono ad essere autentici e convincenti nel dispensare tanto lo Swampland Blues quanto il Punk minimalista ed il Country, grazie al collante rappresentato dalla voce di un Tex Perkins, alto, allampanato, con occhi da squalo, figlio bastardo di Screamin’ Jay Hawkins, che canta come se stesse facendo dei gargarismi con l'acido della batteria e che si dimostra anche abile autore di testi, tessendo storie che smascherano la violenza nascosta dietro le tende della "normalità" suburbana, come in "Playground", short story recitata dal protagonista, seduto su una panchina di un campo da gioco deserto, circondato da palazzi fatiscenti, amianto, vetri rotti, oppure come in "The Hate Inside", sfogo di un padre che odia il cane, la moglie e i due figli, ballata omicida che colpisce allo stomaco. Nessun messaggio, nessuna morale. Sono istantanee livide che rappresentano una realtà più grottesca della fantasia.

Questi sono i bei vecchi tempi. “The Beasts at their Best”. blues maniacale, selvaggio, luciferino, denso di sangue rappreso, bile, ed altri indicibili fluidi corporei, scaturito direttamente dalla pancia della Bestia.

In altri tempi, a questo punto, avrei acceso un’altra sigaretta, mi sarei versato un altro bicchiere e avrei rimesso il disco daccapo. Ma ormai ho smesso di fumare e bevo poco. Mi dovrò far bastare il Bourbon delle Bestie.



 

 

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