THE BIRTHDAY PARTY Prayers On Fire - AUSTRALIA 1981

 














THE BIRTHDAY PARTY
Prayers On Fire - AUSTRALIA 1981

Nick the Stripper ed il suo circo del caos sonoro sono arrivati in città, con la ragazza della Musica-Zoo, con il piccolo insetto ripugnante che balla a quattro zampe nel suo abito da compleanno, con il buffone faccia di bronzo e moribondo ed il Re Inchiostro che se ne va in giro per la città, fiutando intorno.

Signore e signori, queste Preghiere in fiamme sono esattamente ciò che promette il titolo ed esattamente il contrario. Il giovane Nick Cave ed i suoi compagni vagano in un universo sudicio e senza Dio ("Cosa c'è in quella stanza? Sabbia e fuliggine e polvere e sporcizia.") dove il decadimento umano supera ogni speranza di trascendenza.

Pubblicato il 6 aprile 1981, Prayers on Fire è l’album di debutto dei Birthday Party, apolide band australiana, precedentemente nota come Boys Next Door che, nel frattempo (dopo due album, Door, Door e The Birthday Party), avevano deciso di cambiare nome e tentare la sorte a Londra, nel vecchio Continente.

Prayers On Fire è un  muro impenetrabile di ferocia primordiale che profana il Blues, il Rockabilly, il Funky e l’Avanguardia. Macabri crepitii di chitarre forniscono un rivestimento isterico per le canzoni, in cui a volte non c'è quasi melodia mentre Cave, beatamente folle,  grida, grugnisce e guaisce ed ulula testi deliranti, partoriti da una mente malata. Un baccanale osceno e depravato di Rock circense suonato con la brutalità degli Stooges. Melodie proto-jazz, su cui spicca il cantato viscerale e grottesco di Cave. Un frenetico Rain Dogs cantato da un Tom Waits post-punk. Un vortice delirante e morboso fin dalla convulsa apertura di "Zoo-Music Girl" con Nick che intraprende un soliloquio schizofrenico al di sopra del tonfo tribale delle percussioni, dei frammenti acuminati di chitarra, del palpito profondo del basso e persino di una tromba spaventosamente fuori posto.

È il linguaggio stesso ad essere violato. Le parole perdono di significato in "Cry", con Cave che le elide con la propria negazione - come "spazio/non spazio", "pesce/non pesce", "vestiti/non vestiti" e "carne/non carne" - ed Howard che genera spirali di suono con la sua Fender Jaguar mentre la sezione ritmica riproduce la pulsazione metallurgica dei martelli pneumatici.

"Capers" è un altro monologo declamato, a passo di valzer, con voce innaturalmente profonda ed ubriaca, il cui testo, scritto da Genevieve McGuckin, formula neologismi deformati come "gloomloom", "clocklock", "diehood", mentre in "Nick the Stripper" il cantato gutturale di Cave si fonde con la linea di basso e i suoni dissonanti delle chitarre di Howard ed Harvey ed una sezione fiati straniante.

La minacciosa e stordente linea di basso di "King Ink", cupa e nichilista, gli improvvisi cambi di tempo, il pianoforte da film dell'orrore in cima ai quali il fragore distorto della chitarra di Howard alterna puro rumore al riff vero e proprio e l'imprevedibile performance vocale di Cave, oltre i limiti della malattia mentale, ne fanno una delle migliori canzoni nel repertorio dei Birthday Party ."Oh sì, oh sì, oh sì, oh, che vita meravigliosa, Fats Domino alla radio!".

La conclusiva ballata macabra "Just You and Me" ripropone il cabaret claudicante di “Capers”, inquietante e claustrofobico, puntellato dal piano di Harvey e dal sax marziale di Howard,

Il resto dell'album è un labirinto sotterraneo, popolato di personaggi bizzarri e grotteschi, protagonisti di depravazioni, violenze, metamorfosi kafkiane, scene da teatro dell’assurdo e da Grand Guignol. Blues in chiave espressionista, accordi di pianoforte dissonanti, chitarre taglienti, basso primitivo, rullante da marcetta ed ottoni caotici forniscono uno sfondo sonoro folle per il baritono rabbioso di Cave.

Se all’inferno avessero una Rock Band è così che suonerebbe.





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