ANDY WHITE Rave On - UK 1986
ANDY WHITE
Rave On - UK 1986
L’Irlanda del Nord dei primi anni ’80 non era un posto dove
vivere tranquilli. Le bombe dell’IRA erano parte della routine quotidiana e la
tensione, sempre alta, era pronta a deflagrare in scontri tra la popolazione ed
i soldati inglesi.
Nel 1986 passai in autobus per Derry - Londonderry per gli
inglesi - e ricordo perfettamente l’atmosfera plumbea, favorita anche da
un’incessante pioggerellina, dei checkpoint
con i sacchetti di sabbia e delle autoblindo inglesi che stazionavano agli
incroci principali.
Non stupisce, allora, che Andy White, nato e cresciuto a Belfast, nel caos politico e sociale
dell'Irlanda del Nord, poco dopo i vent’anni, abbia deciso di dirigersi verso
la Gran Bretagna della Thatcher con una chitarra acustica e una valigia piena
di libri di poesie, cassette dei Clash ed album di Bob Dylan.
Nel 1986 Andy pubblica Rave On, album d’esordio folgorante
e maturo (ristampato nel 2018). Il titolo è un omaggio ad una poesia di W.B.
Yeats e ad una canzone di Van Morrison. La copertina ritrae un bohemien folk
punk che sembra un giovane Dylan irlandese. Ma Andy, letterario, politico, orgoglioso
delle sue radici, non è un semplice epigone del cantautore di Duluth e tra le
sue influenze risultano evidenti Lou
Reed – in particolare nell’iniziale “The Soldier Sash” - ma anche Ray Davies, Elliott Murphy, Billy Bragg, i Waterboys.
Andy è un narratore. È un affabulatore dai testi gremiti di
parole che si affastellano sulle trame sonore di un folk rock innervato di
tradizione celtica.
Canzoni come la dylaniana “Vision of You”, il folk americano
di “Reality Row” e quello celtico di “I Will Wait”, il punk-folk di “Things
Start to Unwind”, lo schiaffo in faccia a coloro che uniscono religione e
violenza di “Religious Persuasion”, la stupenda ballata “Tuesday Apocalypse #13”,
“The Walking Wounded”, “Rembrandt Hat”, “The Big Rain”, riflettono il caos e la
bellezza del mondo in cui viviamo; graffianti e poetiche, mettono in risalto
questioni sociali ed esistenziali trasversali a tempi e luoghi pur facendo di
Andy White un uomo del suo tempo e del suo luogo.
Ai primi di maggio del 1997, in una Londra nelle cui strade
sventolavano migliaia di piccole Union Jack e dove mi trovavo ospite di una
amica greca, assistetti - assolutamente per caso - a due eventi: l’elezione a
Primo Ministro di Tony Blair - che
sconfisse seccamente il candidato Tories,
John Major - ed un concerto di Andy
White - one man band con chitarra
acustica ed armonica - in un piccolo club londinese di cui non ricordo più il
nome, dalle parti della London School of
Economics. Il set fu piacevole anche se non conoscevo molte delle canzoni,
evidentemente appartenenti ai dischi all’epoca più recenti, ma quando Andy
intonò alcune canzoni di Rave On gran
parte dell’esiguo pubblico, sottoscritto compreso, ebbe un sussulto e mostrò
una partecipazione che avvalorano come quest’album abbia i requisiti per
elevarsi al di sopra di qualsiasi moda.
Il successivo Kiss The
Big Stone, mostrerà già un calo compositivo, ma Rave On suona ancora oggi fresco, urgente e crudo. Ed Andy rimarrà
per sempre il ragazzo di Belfast, immortalato dallo scatto in bianco e nero di
copertina, con il ciuffo spettinato e gli abiti demodé, che sembra voler
sfuggire agli sguardi indiscreti.
Commenti
Posta un commento