THE SOUND Jeopardy - UK 1980

THE SOUND
Jeopardy - UK 1980

Atmosfere enigmatiche, suoni acuminati e magnetici che sembrano la perfetta colonna sonora del crepuscolo e che, a volte, divampano di impetuosa tensione R’n’R.

Jeopardy è il formidabile esordio dei Sound, nati nella Londra del 1979,  in piena esplosione post-punk e della nascente dark-wave e destinati - loro malgrado - a vivere nell’ombra dei contemporanei Joy Division, Echo & The Bunnymen, Bauhaus, Cure, Siouxsie And The Banshees. Eppure, il quartetto formato da Graham Bailey (basso), Mike Dudley (batteria), Bi Marshall, alias di Benita Biltoo (tastiere, sassofono, clarinetto) e dal cantante e chitarrista Adrian Borland, non aveva nulla da invidiare ai più famosi colleghi, se non il potere carismatico di un frontman come Ian Curtis, Robert Smith o di una Siouxsie.

Jeopardy - geniale e minimalista, ricco di sfumature oltre che dotato di sonorità mature e ben elaborate, mai troppo cupe o decadenti - è, in ogni caso, uno dei dischi più rappresentativi della scena post-punk britannica.

l’album si apre con il crescendo minaccioso e claustrofobico di “I Can’t Escape Myself”, in cui il tormento esistenziale di Borland si dipana sulla base di un basso paranoico e di un ripetitivo riff di chitarra. “Heartland”, adrenalinica ed esaltante, è un’autostrada nella notte dell’anima tracciata da chitarre taglienti come rasoi, a cui segue una ineluttabile ed antelucana “Hour Of Need”.

“Words Fail Me” è R’n’R fragoroso e ritmato con sprazzi pop, aperti da un sax quasi spensierato. Antimilitarista e disperata è invece “Missiles”, la cui atmosfera glaciale e la chitarra affilata ci conduce dalle parti dei Magazine più anfetaminici e dei Bauhaus meno teatrali. “Heyday” è una fiammata rock’n’wave pulsante di vitalità, mentre l’eleganza dei sintetizzatori di “Jeopardy” e dei sui ritmi ben scanditi contrasta con la lenta, acida ed agonizzante ballata “Night Versus Day” che, seguendo la litania declamata dalla voce di Borland e l’andamento drogato delle chitarre, ci conduce tra le nebbie di un luogo ostile e sconosciuto, prima di scaraventarci nel flusso energetico di “Resistance”.

La new wave di “Unwritten Law” e la straniante e conclusiva “Desire” sono gli unici due momenti lievemente al di sotto della media di questo capolavoro.

Sempre in conflitto con sé stesso e con il mondo, Borland si suiciderà nel 1999 sui binari della Wimbledon Station a Londra, lasciando ad imperitura memoria, questo magnifico esordio, superiore per urgenza espressiva alla manciata di suoi pur ottimi successori.




 





 

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