PIXIES Surfer Rosa - US 1988


 



















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Surfer Rosa - US 1988

Uno dei dischi più sorprendenti del 1988. Surfer Rosa forse non è il lavoro più accessibile dei Pixies, ma è certamente - insieme a Doolittle - il più avvincente.

Post-moderni, intellettuali, unici nel loro genere, creatori di una personalissima fusione di garage-pop ed armonie dissonanti, i bostoniani Pixies sono una delle band più influenti degli ultimi trentacinque anni. Velvet Underground, Pere Ubu, le nevrosi elettriche di Neil Young, l’impetuoso blues-punk-folk di Gun Club e Violent Femmes, acide distorsioni psichedeliche, tutto viene frullato in un suono orecchiabile e aspro, semplice e complesso, colto e primordiale, denso di pause e di accelerazioni improvvise.

Preceduto dal EP Come On Pilgrim (Elektra, 1987), Surfer Rosa  - crudo, sporco, eppure creativo e scanzonato -  è l'esordio dei Pixies su Long Playing. I Folletti mostrano al mondo di possedere originalità e cuore e di saperli abbinare per creare qualcosa di nuovo. Il cantato minaccioso e perverso di Charles Michael Kittridge Thompson IV, alias Black Francis, la chitarra viscerale di Joey Santiago e la sezione ritmica puntuale ed incisiva di David Lovering (batteria) e Kim Deal (basso), producono un Garage rock psicotico, stridulo e ossessivo, deformato da strepiti e distorsioni, ma anche melodico e percorso da una sottile vena parodistica che ricorda i Violent Femmes.

Surfer Rosa inizia con "Bone Machine", incipit perfetto, dominato dalla chitarra di Santiago e dalla sezione ritmica granitica. "Break My Body" continua sulla stessa linea epilettica come anche “Broken Face”, in cui risuonano i Sex Pistols. Ma il capolavoro del disco è “Gigantic”, ballata potente e melodica sommersa da una cascata di distorsioni, composta e cantata da Kim Deal. Ed ancor più suggestiva è l’altra ballata, “Where Is My Mind?” - rimasta inesorabilmente impressa nell’immaginario collettivo grazie alla straordinaria scena finale del Cult Movie Fight Club di David Fincher, tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Pahlaniuk - che trasfigura Neil Young grazie ad un riff acido e ad una tastiera metafisica. Trovano spazio, poi, i bislacchi divertissement di “Oh My Golly!” e “Vamos” nonché il punk melodico e forsennato di “Tony’s Theme”  e quello stralunato di "River Euphrates” o, ancora, quello inquietante di "Cactus".

Prodotto da Steve Albini, il disco segnerà profondamente l’estetica di quello scorcio di fine decennio e stabilirà nuove coordinate nell’ambito del rock indipendente. Nessuno, come Black Francis e Kim Deal, aveva mai cantato in quel modo sgraziato e urlante ma allo stesso tempo armonioso, in una alternanza parossistica di rumore e melodia che costituisce l’inimitabile marchio di fabbrica dei Pixies.

il vero capolavoro della band di Boston, sarà il successivo Doolittle, ma Surfer Rosa rimane un portentoso debutto a 33 giri, che contribuì a cambiare il corso degli eventi, come di lì a poco testimonierà un certo Kurt Cobain.



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