THE CULT Love - UK 1985


 



















THE CULT
Love - UK 1985

Nell’autunno del 1985 gli inglesi Cult pubblicano il loro secondo album, Love, il cui patrimonio genetico, costituito in parti uguali da hard rock psichedelico e dark wave, di lì a poco - già con il successivo, pur valido, Electric, ma ancor di più con i sempre più beceri successori - subirà una progressiva mutazione genetica in direzione dell'hard rock più sfacciato e mainstream.

Ma nell’autunno del 1985 ciò è ancora di là da venire e Love emana oscura bellezza, contiene melodie avvincenti, riff trascinanti, ritmi marziali, crea atmosfere epiche e maestose e gode di una produzione (troppo) scintillante che, tuttavia, contrasta con l’aura mistico-esoterica che spazia confusamente dalla spiritualità dei nativi americani ai glifi pseudo-egizi della copertina rigorosamente nera.

La spinta implacabile della batteria di Mark Brzezicki (già nei Big Country) e del basso spasmodico imbevuto di new wave di Jamie Stewart, ma soprattutto la onnipresente Gretsch White Falcon del chitarrista Billy Duffy, creano un suono torrido a cui ben si adatta la voce evocativa dell’istrionico Ian Astbury, spesso erroneamente accostata a quella di Jim Morrison. Un’alchimia esplosiva che crea brani semplici ed efficaci, che conservano tracce dell’umore post-punk dell’album di debutto (Dreamtime, 1984), ma ricoperto di una patina di malinconia gotica e di crepuscolare psichedelia, unita all’immediatezza dell’hard rock.

I Cult non inventano nulla e Love non spicca per originalità, ma riverbera echi di Free, Faces, Cream, Hendrix e soprattutto di Led Zeppelin, però, con una passione, una brillantezza ed una vitalità tali da risultare irresistibile.

La trascinante “Nirvana” che apre il disco; la danza della pioggia apocalittica e sensuale di “Rain”; “The Phoenix”, convulsa e psichedelica; gli anthem “Love” e “Revolution”, sono canzoni vigorose e coinvolgenti. “She Sells Sanctuary”, trova la sintesi tra U2, Big Country e Simple Minds, battendoli tutti a mani basse. “Big Neon Glitter” e “Hollow Man”, frenetiche, oscure e tribali, inzuppate fino al midollo di new wave, sono i brani che mostrano maggiore originalità. “Brother Wolf, Sister Moon” e la conclusiva "Black Angel" sono ballate assassine, perfette per un album in cui le crepuscolari derive gotiche si intrecciano con l’energia hard Rock Blues, creando un ammaliante chiaroscuro.

Love è un album che trascende i confini del genere e del tempo. I due milioni e mezzo di copie vendute, ne testimoniano la trasversalità che, in questo caso non deve essere intesa come un demerito.

Love è uno dei dischi più intriganti degli anni ’80. È ruffiano e sincero allo stesso tempo. È apoteosi chitarristica. È la consacrazione del Culto.





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