SAVAGES Silence Yourself - UK 2013
SAVAGES
Silence Yourself - UK 2013
Sembra ieri, ma sono già passati dieci
anni.
le Savages, band londinese tutta al femminile, debuttano nel
2013 con Silence Yourself, trentotto
minuti di tenebroso post punk, rabbioso ed emozionale.
La
francese Camille
Berthomier alias Jehnny Beth (voce) e le
inglesi Gemma Thompson (chitarra), Ayse Hassan (basso) e Fay Milton (batteria), che appaiono
sulla copertina dell’album come cupe primedonne dagli sguardi truci, producono
undici tracce che riecheggiano band morte, ma non sepolte, ben prima della
nascita di queste quattro ragazze.
Siouxie and The Banshees, Bauhaus, Joy Division, sono i riferimenti più vividi
ed immediati, ma - a ben guardare - si scorgono anche tracce di PJ Harvey e degli
U2 prima maniera.
Il
disco è ben suonato. La produzione è impeccabile. Le Savages sono delle
furie.
I testi, cantati con voce di strega da
Jehnny Beth, con piglio tra il paranoico ed il sacerdotale, fondono - talvolta
confusamente - sesso, rabbia, paura e ostilità. La chitarrista Gemma Thompson,
evidentemente non una virtuosa dello strumento, fa comunque il suo dovere, sprigionando una distorsione urlante, talvolta ai confini
del rumorismo. Ma il motore propulsivo della band è la micidiale sezione
ritmica, ossia la batteria bombarola di Fay Milton e specialmente il basso
dinamitardo della talentuosa Ayse Hassan.
Tuttavia, come
dice Kurtz (Marlon Brando) a Willard (Martin Sheen) in Apocalypse Now, "
... non c'è
niente che io detesti di più dell'odore di marcio delle bugie".
Si, perché
a posteriori - anche alla luce del veloce dissolvimento della band, dovuto alle
inconcludenti aspirazioni soliste della cantante - Silence Yourself appare
come una gran bella bugia che si dissolve lasciando il retrogusto amaro di un seducente
simulacro senz’anima.
E ciò
dispiace. perché se è vero che nel disco trovano spazio brani piuttosto banali come il singolo “Husbands” e “No Face” o superflui, come
l’intermezzo atmosferico di “Dead
Nature” o addirittura
pessimi come “Hit Me” - il che probabilmente significa che l’album è stato
pubblicato per sfruttare l’hype che si era creato intorno alla band ma prima
che fosse stato messo a punto un repertorio omogeneo di buon livello - è anche
vero che questo lavoro contiene alcune canzoni estremamente interessanti ed in
qualche caso eccellenti. La veloce e travolgente “Shut Up”, “City's
Full” con il basso pulsante e la batteria
tribale, “Strife”, ballata potente
e ritmata. “Waiting for a Sign” che incede lenta e stridente, “She Will” dal riff quasi surf che si conclude con un urlo agghiacciante ed il finale desolato di “Marshal Dear”, ingentilito dal pianoforte, da
una chitarra
carica di suspence, dal canto sensuale della strega ammaliatrice Beth e da un
sax rantolante.
Silence Yourself è un
album oscuro, percorso da una rabbia corrosiva, da un suono nervoso e
spettrale, da riff gelidi e taglienti che, oggi, appare come l’occasione
perduta di una band al femminile che poteva essere grande e che ha mancato
l’appuntamento con la storia.
Seguirà, nel
2016, un secondo album mediocre e lo scioglimento.
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