THE GANG Tribe's Union - ITALIA 1984
THE GANG
Tribe's Union - ITALIA 1984
Oggi che la
musica è diventata “liquida”, senza più un supporto, un contenitore, il
concetto di album è diventato evanescente, ma non è l’unica cosa che si è
persa. Io, che provengo dall’era del vinile, sono sempre stato affascinato dall’oggetto,
dalle copertine alle volte apribili, dalle buste interne con i testi stampati, da
quel misterioso disco nero che è qualcosa di più di un semplice pezzo di plastica
con la musica dentro, che in realtà è un pretesto per far circolare delle idee.
Un pretesto per avvicinare, per unire persone che si riconoscono in qualcosa di
comune.
E questa
credo sia la visione anche dei fratelli Marino
e Sandro Severini che nel lontano 1984 iniziano la loro carriera
discografica, pubblicando l’autoprodotto Tribes’
Union.
Nel corso
degli anni ho incontrato alcune volte i fratelli Severini ma scriverò di ciò in
un’altra occasione. Ciò che conta è che ho conosciuto i Gang - per caso - nel
1986 e li ho conosciuti nella loro veste migliore, quella dal vivo.
I Blasters, band
di un’altra coppia di fratelli, Phil e
Dave Alvin, in quell’inverno del 1986 suonavano a Napoli (che in quegli
anni era una Rock City, meta concertistica di tanti artisti più o meno
conosciuti; poi tutto cambiò ed il rock emigrò altrove) e non persi l’occasione
di andarli a vedere. Ad aprire il concerto, però, fu uno sconosciuto gruppo
italiano.
The Gang salirono sul palco imbracciando le
chitarre come armi e si lanciarono in una performance strepitosa. In mezz’ora
scarsa sciorinarono il loro (allora) esiguo repertorio di rock barricadero
cantato in inglese, oltre alla cover di “I fought the Law” dei padrini Clash. Fu la folgorazione. Dopo essere
stato schiaffeggiato dalla musica da fuorilegge dei Gang e dal messaggio
evidentemente politico di “Libre El Salvador” e di “Kill in Action”, il
Rock’n’Roll dei bravissimi Blasters mi apparve improvvisamente un po’ leggero,
me lo sentii scorrere addosso senza penetrarmi l’epidermide o almeno queste
sono le sensazioni che ricordo.
Da quel concerto al procurarsi il primo e - fino a quel
momento - unico album dei Gang, il passo fu breve.
Filottrano, in provincia di Ancona è un paese in collina di
circa 9000 anime, circondato dalla campagna, dove d’inverno nevica ed i
fratelli Severini di queste radici provinciali, contadine e proletarie vanno
fieri e le traducono nel loro rock-folk da combattimento, da prima linea, infuocato
e rivoluzionario come in Italia pochi hanno saputo fare.
I Gang - duri e puri - ti catturano il cuore.
Ascoltare Tribe’s Union oggi mi impressiona ancora per la
profusione di energia, per la feroce passione da cui è animato, per l’integrità
e l’onestà cristallina (che ha caratterizzato tutta la loro carriera). Punk,
Reggae, Dub, accenni latini e western.
Otto canzoni autografe che si avvicendano a rotta di collo, troncate
solo dalle voci del Comandante Tomàs Borge e di Marlon Brando. Otto canzoni,
belle dalla prima all’ultima; da “The Challenge”, con tanto di citazione del
tema morriconiano di Per un Pugno di Dollari, ad “Action In Play”, Dub marziale
ed elettronico, passando per le sirene della polizia ed il sassofono di “War In
The City”, per l’inno sandinista di “Libre El Salvador”, per il lirismo di
“Killed In Action”, per “The Last Border”, quadriglia da sagra marchigiana
travestita da tex-mex. Cori innodici, batteria pestata, chitarre usate come
mitragliatrici, trombe e tastiere quando necessario, spari, esplosioni e rotori
di elicotteri in planata.
Tribe’s Union è l’appassionato omaggio dei Gang alle loro
principali fonti di ispirazione, tra cui spiccano su tutti i Clash. Un omaggio
che sfiora il plagio, poiché Marino e Sandro sono vicini a Joe Strummer e Mick
Jones non solo nelle musiche, fra punk ed epico rock'n'roll con suggestioni
caraibiche, ma anche nelle tematiche politico-sociali che emergono dai testi,
cantati come avrebbe fatto Joe. Eppure la vicinanza al modello ispiratore - da
cui tenderanno progressivamente ad emanciparsi - non è un demerito per i Gang,
che ripropongono lo schema con personalità, ardore e sincerità emozionanti.
Dopo tanti anni, Marino, ti dico finalmente grazie per aver
suggerito - con questo album e soprattutto con altri che sarebbero seguiti -
parole importanti al mio cuore ed alla mia mente.
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