The Jesus And Mary Chain Glasgow Eyes - UK 2024
The Jesus And Mary Chain
Glasgow Eyes - UK 2024
C’è qualcosa di oscuro, sotterraneo e dolcemente perverso
(psychocandy vi dice qualcosa?) nella musica dei Jesus & Mary Chain che mi ha profondamente affascinato sin dai
loro esordi ed eccomi qua, quarant’anni dopo, con il loro nuovo album in cuffia
a provare quel brivido di sottile piacere che Jim e William Reid riescono - ancora una volta ed inaspettatamente
- a farmi provare.
In Glasgow Eyes i fratelli Reid respirano
aria di casa, sin dal titolo; scavano in profondità nei ricordi di famiglia che
non sono sempre necessariamente piacevoli, dando alla luce (o forse sarebbe
meglio dire all’oscurità) dodici tracce cupamente oneste che rivelano
immediatamente la grafia inconfondibile della band scozzese che pur ricorre ad
un uso di sintetizzatori ben più massiccio di quanto abbiano mai fatto in
passato.
Ma si tratta di un cambio d’abito che risulta credibile
perché non muta la natura dei Jesus and Mary Chain che con Glasgow Eyes, malgrado le sonorità contemporanee, offrono
esattamente quello che la gente si dovrebbe aspettare da un disco di Jesus and
Mary Chain, ossia l’intreccio di melodie tossiche e dissonanze adrenaliniche,
ritmi storditi - un tempo dal feedback e dalla drum machine ed oggi
dall’elettronica - e colorati a tinte fosche.
“Jamcod”, il singolo, con il suo incipit industrial e la felice combinazione di elettronica
tenebrosa e della sferzante elettricità della chitarra è un ottimo esempio di
questo metodo. I J&MC citano se stessi in un gioco autoreferenziale
cambiando però le coordinate stilistiche per cui “Jamcod” sembra rispedirci in
uno Psychocandy alterato in chiave
power pop elettronica.
Registrato al Castle of Doom di Glasgow, l'ottavo album
dei fratelli scozzesi è stato pubblicato
l’8 marzo 2024 e giunge a sette anni di distanza dal precedente Damage and Joy, dimostrandosi
assolutamente vitale e fieramente fuori dal tempo, perché se è vero che Jim e
William Reid imitano se stessi, è altrettanto vero che rompono con il passato.
L’accelerazione elettronica eppure R’n’R dell’iniziale
“Venal Joy”, anche se a livello subliminale risuona di echi di Spacemen 3, appare uno dei brani di
cesura, come pure l’accattivante “American Born” e la bella ed evocativa
“Mediterranean X Film”, che ricorda le atmosfere dei Black Heart Procession. Inaspettate sono anche una “Discotheque”,
il cui impianto sonoro ripetitivo e soprattutto la linea di basso fa pensare a
come potrebbe suonare oggi un nuovo album con materiale originale dei Bauhaus, ed una incantevole “Silver
Strings” che conduce l’ascoltatore nei paraggi dell’elegante pop elettronico
d’autore dell’irlandese Gavin Friday
(ex Virgin Prunes).
La ballata al rallentatore "Pure Poor" e la
magnifica “Chemical Animal” ci riportano dalle parti dei Jesus che meglio
conosciamo, malgrado i ghirigori chitarristici tremolanti e psichedelici della
prima e la metamorfosi electro-dark-pop con riverberi Bowieani della seconda,
mentre “Second of June” sembra uscita da Darklands,
nonostante la leggera trama intessuta dai sintetizzatori.
E, sebbene di livello inferiore agli altri brani, anche il
pop rock ingenuo di “The Eagles and the Beatles” e di “Girl 71” risulta del
tutto gradevole.
L’album si conclude con l’ironico test del DNA di “Hey Lou
Reid”, fluttuante “pastiche” di brani che contiene gli spermatozoi di Lou Reed e di tutti i Velvet Underground (con buona pace di
Maureen Tucker per evidenti motivi). Chiusura sincera per un disco in cui
affinità e influenze dei fratelli Reid giocano con il presente ed addirittura
con il futuro mentre le chitarre suonano
e i sintetizzatori ronzano pacificamente alla deriva.
Una delle mie band preferite torna con quello che si candida
ad essere uno dei suoi migliori album.
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