THE SMITHS The Smiths - UK 1984
THE SMITHS
The Smiths - UK 1984
Periferia Nord ovest di Manchester,
zona di capannoni industriali ed isolati residenziali divisa dal resto della
città dal fiume Irwell. Qui sono nati gli Smiths che nell’arco di appena cinque anni
e quattro LP hanno rivoluzionato profondamente l’idea stessa di pop.
La loro musica melodica e decadente, che scuote i cuori
inquieti e gli animi sensibili, poggia sull’architrave sostenuto dagli
squillanti arpeggi chitarristici - tra i Beatles ed i Byrds, passando per i Joy
Division - di Johnny Maher (che
diventerà Marr) e dal canto addolorato e austero di Steven Patrick Morrissey (che sarà semplicemente Morrissey), sorta
di moderno Oscar Wilde, capace di suscitare all’unisono suggestioni colte e
popolari e di essere, dunque, una Popstar nel senso meno commerciale del
termine e - in qualche modo - padre putativo del Brit Pop anni ’90 (anche di
quello peggiore).
Gli Smiths, a cui aderiscono Andy Rourke (basso) e Mike
Joyce (batteria), lontani dall'estetica post punk ma anche da quella
mainstream anni '80, tutta sintetizzatori ed MTV, scelgono di non girare video,
di non apparire sulle copertine dei loro dischi e di battezzarsi con il cognome
più diffuso e dunque più spersonalizzante d’Inghilterra.
Nel 1984, poco prima del debutto a 33 giri, rimane
memorabile l’esibizione a Top Of The Pops, con Morrissey che stringe in mano un
solo gladiolo e porta un apparecchio acustico all’orecchio.
Gli Smiths metabolizzano le radici del rock and roll come
aveva fatto il punk ma risputano fuori un pop-rock fragile e melodico, figlio
della disperazione esistenziale di una generazione incompiuta ed il loro primo
album si impone immediatamente per il suo sound inconfondibile e la spiccata
personalità dei brani, tra cui si elevano almeno due capolavori, la briosa ed
elegante “This Charming Man” ed il
boogie travolgente di “What Difference
Does It Make” declinato dal riff irresistibile della chitarra di Marr
mentre Morrisey predica il proprio glaciale e compassato sermone.
Notevoli
sono anche “Reel Around the Fountain”, “You‘ve Got Everything Now”, “Pretty
Girls Make Graves”, “Hand In Glove”, “I Don't Owe You Anything”, risuonanti di
altalenante struggimento e di indecifrabile sessualità.
Il tocco chitarristico di Marr è delicato ed evocativo.
Johnny ha talento, ha uno stile personalissimo ed usa accordi ed arpeggi densi
di seste e settime aumentate, mentre il sociopatico Morrisey declama versi
oscuri e sarcastici che trattano argomenti non convenzionali,
dall'omosessualità, alle molestie sui minori e - nella conclusiva “Suffer
Little Children” - ai fatti di cronaca nera riguardanti gli omicidi di cinque
ragazzini della sua città, passando attraverso temi sociali e politici di
critica della società inglese dominata dalla Iron Lady Thatcher.
Tuttavia un paio di brani appaiono poco omogenei, “Still
Ill” ha una linea melodica poco nitida e confusa, mentre il punto più basso
dell’album è “Miserable Lie”, che termina con un paio di minuti di fastidioso
canto in falsetto.
The Smiths suona,
pertanto, ancora non perfettamente a fuoco. Problema in qualche misura
riscontrabile anche negli album successivi, che a loro volta soffrono di lievi
cadute di tono.
Ma poco importa, poiché la musica degli Smiths è così viva e
vibrante, è così luminosa ed allo stesso tempo oscura, il messaggio è così
rilevante, da consacrarli - nello spazio di quei soli cinque anni e quattro
album - come più influente band inglese degli anni ’80.
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