THE DREAM SYNDICATE The Days Of Wine And Roses - US 1982


 



















THE DREAM SYNDICATE
The Days Of Wine And Roses - US 1982

Mescolate l’elettricità nervosa dei Crazy Horse più cupi, il ronzio stridente e melodico dei Velvet Underground, i Doors più selvaggi e sciamanici, il Dylan più caustico e più introspettivo, ed avrete un’idea di come suona The Days Of Wine And Roses, album di debutto dei Dream Syndicate che lascia sulla pelle le cicatrici delle scudisciate inferte dall’urgenza delle canzoni di Steve Wynn, dalla chitarra ustionante di Karl Precoda, dal ritmo costante propagato dal basso di Kendra Smith e dai tamburi di Dennis Duck.

L’impianto sonoro, il canto avvelenato di Wynn, la tensione drammatica dei brani acuita dai testi introversi ed angosciosi che raccontano storie di alienazione e depravazione, rendono i primi Syndicate assimilabili - almeno nello spirito - più ai coevi Gun Club che alle altre band accomunate sotto la definizione di Paisley Underground, come Long Ryders, Three O’Clock o Rain Parade, dedite al folk-rock e al garage venato di psichedelia dei sixties.

E nessuno, nemmeno gli stessi Dream Syndicate, saranno in grado di replicare il suono convulso, acido, distorto di questo album, dominato da un’atmosfera straniante sin dall’inesorabile riff jingle jangle di “Tell Me When It's Over” e dal rock’n’roll ipnotico di “Definitely Clean”, che sembra suonata da un Bob Dylan anfetaminico che fa l’autostop lungo la Highway 61.

Il basso di Kendra Smith introduce l’epica esplosione elettrica di “That’s What You Always Say” mentre il concitato rock’n’roll  stoogesiano di “Then She Remembers” prelude a “Halloween”, unico brano firmato da Precoda, solenne e lancinante capolavoro psichedelico del disco.

Le atmosfere si fanno spettrali e inquietanti in “When You Smile”, con il feedback insistente che contribuisce a creare una atmosfera di tensione in un crescendo morbido e dissonante che profuma di tenebrosa new wave. “Until Lately” è un blues/beat come lo suonerebbero i Them sotto acido. La languida ballata fatalista “Too Little Too Late”, cantata con decadente dolcezza dalla Smith che imita Nico, conduce all’apoteosi finale degli oltre sette minuti della title-track, magmatico e dilatato psychobilly, sfrenata summa del sound Dream Syndicate, che richiama le cavalcate elettriche dei Quicksilver Messenger Service, quanto il noise velvettiano.

I Syndicate traducono in musica il panico esistenziale sinistramente psicotico della loro generazione in un album dove tutto funziona alla perfezione, dai testi duri e malevoli di Wynn alla chitarra ribollente e urticante di Precoda, con la produzione dello stesso Wynn e di Chris D. dei Fleash Eaters che conferisce al disco il suono sporco e l’immediatezza che, in una certa misura, andranno persi nei lavori successivi.

Ma qui il Sindacato del Sogno concepisce e realizza - a partire dall’immagine di copertina - un capolavoro contemporaneo, minimalista ed iper-realista che possiede tutto il senso di pericolo, tutta la bellezza, tutta l'energia e il fuoco di un linguaggio fresco di conio ma con le radici ben piantate nel passato.

Pietra miliare.



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