THE SICK ROSE Faces - ITALIA 1986





















THE SICK ROSE
Faces - ITALIA 1986

Una pagina fondamentale della storia della musica underground italiana ed internazionale, scritta da una band che - tra le prime negli anni ’80 ad essere scossa dai fremiti della febbre neo-garage - aveva messo l’orologio indietro di vent’anni, così come stavano facendo dall’altra parte dell’Oceano i Chesterfield Kings, i Fuzztones, gli Unclaimed, i Miracle Workers, i Fleshtones ed altri cavernicoli loro pari.

Garage rock vitale e selvatico, partorito all’ombra della Mole Antonelliana e che se avesse visto la luce in America o nel profondo nord della scena garage svedese, avrebbe avuto ben altro successo.

I torinesi Sick Rose (intitolati all’omonima poesia di William Blake), i quali avevano esordito con il singolo “Get Along Girl”, a distanza di pochi mesi replicano dando alle stampe il loro capolavoro - su etichetta Electric Eye - dal suono dichiaratamente revivalista ma denso di elementi personali, dominato dalla voce stridula e sgolata di Luca Re e dalla chitarra crepitante di fuzz di Diego Mese, intriso dell’organo doorsiano di Rinaldo Doro e  sostenuto dalla ritmica robusta del basso di Maurizio Campisi e della batteria di Dante Garimanno.

Il garage-beat incalzante ed aggressivo dalle inflessioni psichedeliche di Searching For” e “Nothing To Say”, di “Everybody Wants To Know” e “Black Or White”, dell’affascinante “It’s A Mistery” e di “You’ve Got My Mind”, le venature folk-rock byrdsiane di “Night Comes Falling Down” e di “About You”, il rombo sordo del punk che incontra la psichedelia nell’acida “I Don't Care”, “I’m Not Trying To Hurt You” cover degli Outsiders ed unico brano realmente sixties, sono solo alcune delle gemme incastonate in questo album.

Credo fosse l’inverno del 1988 quando vidi i Sick Rose, in trasferta napoletana, esibirsi in un locale (uno stanzone seminterrato) di cui non ricordo il nome e che oggi, sicuramente, neppure esiste più.

Luca Re, con gli occhi perennemente coperti dalla frangetta del caschetto, saltava come un indemoniato emettendo urla ferine al fianco degli altri adepti della Rosa Malata che suonavano impassibili su una pedana alta pochi centimetri, circondati dal pubblico estasiato stretto intorno alla band, mentre Luca distribuiva ai più vicini maracas e tamburelli, facendo deflagrare il concerto in un happening da figli dei fiori in cui tutti i partecipanti celebravano il rito di condivisione suonando, ballando e cantando, sopraffatti dal suono acido del Farfisa e da quello travolgente della chitarra fuzz.

Una delle serate più emozionanti della mia gioventù musicale.

Se siete tra coloro che non hanno mai sentito questo disco, è giunto il momento di cospargervi il capo di cenere, di espiare i vostri peccati e di procurarvi Faces, in qualunque modo, perché non lo troverete su Spotify.




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