LEONARD COHEN Songs Of Leonard Cohen - US 1967


 



















LEONARD COHEN
Songs Of Leonard Cohen - US 1967

Leonard Cohen è un'anomalia.

Nato a Montreal ma figlio di New York, classe 1934, poeta e romanziere, decide ormai maturo di cimentarsi come cantautore mettendo in musica i propri versi ed arrivando a ridefinire la figura stessa del folk-singer.

La sua tecnica di scrittura superba, la sua musica disadorna, la sua poetica romantica e disperata che trasuda dolore e colpa,  la sua impudenza coraggiosa, ne hanno fatto uno dei più influenti cantautori di tutti i tempi, forse pari al solo Dylan, con il quale tuttavia ha ben poco in comune al di là del simbolismo dei testi.

Cohen utilizza un linguaggio colto e poetico, mentre Dylan eleva a poesia il gergo di strada del Greenwich Village e tanto Dylan è dilagante, tanto Cohen è laconico, tanto Dylan è politico ed immerso nella società e nella storia, tanto Cohen è asociale e individualista, attratto più dalle tragedie private che interessato a quelle collettive.

Il canadese, figlio più della cultura europea che di quella Americana, influenzato più dagli chansonnier francesi alla Brel che dai bluesmen e dai folksinger autoctoni, ispirato dalla mitologia classica e dalla sua origine culturale ebrea  quanto dalla cultura cattolica assorbita a Montreal, trasforma le storie che narra in riflessioni metafisiche sulla condizione umana, infischiandosene del mercato discografico.

Songs of Leonard Cohen è l’album d’esordio di un Cohen già trentatreenne e rappresenta una sfida alle convenzioni della musica pop almeno quanto un altro - seppur diversissimo -  grande debutto di quello stesso anno, The Velvet Underground & Nico.

Songs of Leonard Cohen è un album minimalista. La chitarra acustica ed i pochi altri strumenti - per lo più archi - volteggiano intorno alle parole creando un’atmosfera onirica che avvolge le canzoni intrise di amore e lussuria, di tradimento e abbandono, di rabbia e compassione.

La voce asciutta, monotona ma profondamente emotiva di Cohen si addice in modo perfetto ai suoi testi, conferendo alle canzoni un'intensità drammatica magnificata dagli arrangiamenti scheletrici.

L’apertura soave di "Suzanne", con la voce narrante di Cohen accarezzata da una chitarra arpeggiata e sospesa sul suono di violini e su di un coro femminile e poi l’arpeggio acustico, i riverberi elettrici e gli squilli di tromba in lontananza della successiva "Master Song" bastano da soli a far comprendere la caratura dell’album e del suo autore.

La fragile “Winter Lady”, la ninna-nanna di “Sisters Of Mercy” che si snoda tra sospiri di fisarmonica e tintinnii di campanelli, il valzer dondolante di “So Long Marianne”, l’epica apocalittica di “Stories of the Street”, l’ebbrezza derelitta della scarna e monumentale chiusura per voce e chitarra di “One of Us Cannot Be Wrong”, creano l’alchimia che rende questo disco lo straordinario esordio di un autore raffinato e complesso.





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