NICK CAVE & THE BAD SEEDS Wild God - AUSTRALIA 2024


 



















NICK CAVE & THE BAD SEEDS
Wild God - AUSTRALIA 2024

Una messa cantata.

Probabilmente questa è la descrizione che più si avvicina all’essenza di Wild God, diciottesimo album in studio di Nick Cave & the Bad Seeds.

Nick sembra aver faticosamente e drammaticamente elaborato il dolore smisurato della morte di due figli - soprattutto quella del quindicenne Arthur - e, come un moderno alchimista, trasmuta la sofferenza in gioia, una gioia dirompente come il Dio Selvaggio del titolo.

“Il dolore”, ha dichiarato Cave in un’intervista al New Yorker, “ha una capacità straordinaria di trasformarci a un livello quasi atomico. All’improvviso abitiamo un corpo nuovo. Cambia il nostro rapporto con tutto”. Cambiamento che, dunque, non poteva non riflettere una trasformazione artistica profonda, strettamente connessa anche al sodalizio con Warren Ellis, il quale ha radicalmente mutato la scrittura almeno degli ultimi quattro lavori, compreso, Carnage del 2021, accreditato ai soli due australiani.

Così il nuovo Nick Cave - un tempo terrore degli intervistatori ed oggi ecumenico conversatore - continua ad allontanarsi dal vecchio sé, eccessivo e tenebroso, che aveva esplorato le radici del blues e del country attraverso il post-punk fragoroso, dissonante, morboso, prima di approdare ad una canzone d’autore di notevole pregio letterario, appena inferiore a quella dei suoi modelli, Cohen e Dylan.

La musica di Nick - con i Bad Seeds mutilati, ormai da anni, dalla scomparsa di Conway Savage e dalle defezioni dei fondamentali Mick Harvey e Blixa Bargeld (ultimamente sostituiti da Colin Greenwood dei Radiohead e Luis Almau) - ha assunto, dunque, prima l’atmosfera ambient ed introspettiva dei precedenti Skeleton Tree e Ghosteen, con cui Nick ci ha reso partecipi del suo struggimento ed orfani delle sue canzoni, ed ora il suono gospel, sinfonico e magniloquente di Wild God, caratterizzato da accordi maggiori, da cori enfatici e corni francesi. Un suono ingombrante e rassicurante, da melodramma religioso.

Da tempo nelle sue opere non c’è più la disperazione, la rabbia del Cave punk e tossicodipendente e, del resto, Nick è invecchiato e - come si diceva - è cambiato, né avrebbe senso pretendere che un artista continui a replicare se stesso in perpetuo, perché la ricerca è sempre attestazione di vitalità e sincerità, ma Wild God, spogliato della mitologia Caveana (immaginatelo per un attimo come se fosse l’album di un autore sconosciuto) risulta stucchevole, come quando nel finale di O Wow O Wow (How Wonderful She Is), fa irruzione la voce (registrata durante una conversazione telefonica) di Anita Lane, grande amore giovanile e musa ispiratrice del nostro, morta nel 2021.

Wild God è meno letargico del precedente Ghosteen, ma la musica continua ad essere seppellita sotto gli arrangiamenti per lo più elettronici e corali di Ellis.

I Bad Seeds sono l’ombra di ciò che erano, la presenza degli altri membri si nota a malapena ed anche questo album - seppur meno del precedente - finisce per essere un poema sinfonico di Warren Ellis.

Qua e là affiorano le vestigia di antiche sonorità, come se il passato tentasse di farsi strada attraverso il sudario tessuto dai sintetizzatori. Brani come “Frogs”, “Final Rescue Attempt” o “Conversion”, fanno ancora drizzare le orecchie ma sono privi di quel fuoco che ha reso memorabili la maggioranza degli album dei Bad Seeds.

Il Cave che danzava con i demoni è andato in pensione, forse per raggiunti limiti di età, ed è stato sostituito da un Cave che canta con gli angeli ma senza ritrovarsi dalle parti di Slow Train Coming o di Saved di Dylan.

Nick abbandona il vecchio testamento, a lui caro, per rivolgersi ad una visione evangelica e consolatoria ed è sincero, come quasi sempre è stato. Nondimeno ad alcune anime tormentate continua a mancare la sua antica irrequietezza che avrebbe dotato queste canzoni piene di gioia e speranza, non di cori angelici ma del pathos asciutto e spigoloso dei vecchi Bad Seeds, lasciandole a librarsi a metà strada tra inferno e paradiso, tra divino e demoniaco, impedendo ai fedeli presenti alla messa di sonnecchiare tra il sermone e l’eucarestia.




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