THE BEASTS Still Here - AUSTRALIA 2019





















THE BEASTS
Still Here - AUSTRALIA 2019

Da quel 2 ottobre del 1983, in cui tutto ebbe inizio con la session di otto ore per la registrazione dello splendido esordio di The Axeman’s Jazz, ne è passata di acqua sotto i ponti e di Bourbon nelle gole di Tex Perkins e soci, i quali hanno collezionato una lista infinita di concerti e sette album in studio, compreso quest’ultimo che potrebbe essere l’epitaffio di una band in cui, nei quarant’anni di onorata seppur rarefatta attività, hanno bivaccato stabilmente o solo sostato per una bevuta, alcuni dei migliori musicisti delle terre down-under.

Dopo l’eccellente Little Animals del 2007, le Bestie del Bourbon si erano ritirate nuovamente nelle swampland australiane da cui erano emerse.

Dodici anni dopo quell’ultima apparizione, nel 2019 - come in quelle storie gotiche in cui il male torna ciclicamente a manifestarsi - le Bestie ritornano, ma questa volta senza Bourbon e ridotte a The Beasts dalla perdita di Brian Hooper e Spencer P. Jones (portati via dal cancro a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro).

Still Here - Ancora qui - è un album di sopravvissuti che ad oggi è l’ultimo dei Beasts of Bourbon o il primo (e forse l’unico) dei Beasts, il cui stesso titolo risuona come una sfida al Destino, lanciata con il cipiglio feroce e sgangherato di sempre. È un peana per i compagni perduti. È la veglia irlandese di un gruppo di amici che in un momento doloroso, vogliono onorare i compagni di sbronze che sono andati a bere altrove. Definitivamente.

Still Here è un album imperfetto, registrato  in presa diretta con poche sovra incisioni. La cupa ballata "Just Let Go" non ha la stessa deformità psicotica degli esordi e, certamente, “It's All Lies” e l'esilarante “Your Honor” sono costruite su due accordi due. Eppure, Still Here è sudicio, divertente ed un po' inquietante come deve essere un disco di vero rock'n'roll.

Il pestaggio sonoro Punk’n’Heavy di “On My Back” e “Pearls Before Swine” è così sporco e rabbioso da tramortire l’ascoltatore. Lo spoken tenebroso ed ipnotico di “Don't Pull Me Over” esplora il confine tra avanguardia e rock'n'roll primordiale, imparentato alla lontana col Nebraska di Springsteen. "Drunk On A Train" è sfrontato garage rock che continuerà a farti battere il tempo e dimenare il culo anche dopo che sarà calato il silenzio. “What The Hell Was I Thinking”, scritta da Hooper, è una danza da ubriachi a notte fonda, suonata con chitarra acustica e la bruciante elettricità della slide che tessono la trama su cui Perkins si lamenta delle proprie malefatte intonando il suo meraviglioso ululato da licantropo del country.

Degnissime complementi della scaletta sono le cover “My Shit's Fucked Up” (poteva esserci cover più appropriata per i Beasts?) di Warren Zevon, così come il blues sfigurato di “The Torture Never Stops” di Zappa.

Ma l’apice del disco è il blues viscoso e scuro come petrolio di "At The Hospital", in cui ritroviamo - per l’ultima volta - Spencer P. Jones che, già gravemente malato, ridacchia tristemente del suo stesso male, ironico ed irriverente come al solito ma ammantato dall’oscurità della fine imminente.

E tutto Still Here è impregnato di un umorismo nero e di un anelito di resistenza che rende l'album più simile ad una rauca celebrazione da bicchiere della staffa che ad una raccolta di canti funebri.

Non sappiamo se questo resterà l’ultimo album degli australiani che dai tempi del loro primo singolo, “Psycho”, hanno accompagnato me e molti altri per gran parte delle nostre vite. Possiamo, però, affermare con orgoglio condiviso che le Bestie, con o senza Bourbon, ingrigite, ferite, incattivite - comunque vada - sono ancora qui, malgrado tutto.




 

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